Comunità, non carità

L’esperienza di Portobello

Il bisogno di “fare comunità” nella nostra società frammentata e individualizzata è forte. Accanto ad associazioni e gruppi di volontariato, si diffondono gruppi e reti di persone, che cercano insieme risposte ai bisogni del vivere, che per molti è diventato sempre più duro.
Pensiamo ad esempio ai gruppi comuni di acquisto, alla cohousing; ai comitati di cittadini che si costituiscono a difesa del territorio, della scuola pubblica, del tempo pieno…
Si tratta, ritengo, di nuove comunità, rafforzate dall’utilizzo delle reti, che vivono e arricchiscono le comunità territoriali: laddove c’è un progetto comune, un lavoro condiviso, la risposta organizzata ad un bisogno c’è un nucleo di comunità, con una propria identità.
Del resto storicamente le grandi organizzazioni sociali (cooperative, sindacati, associazionismo) sono nate proprio per dare risposte, anche locali e limitate, a bisogni di tutela dei lavoratori o per garantire prodotti di consumo, abitazioni o lavoro a prezzi e con salari più convenienti rispetto a quelli di mercato.
In tutte queste esperienze sono decisivi il collegamento tra le varie realtà, la forza della competenza e dei saperi dei partecipanti.
AgendER vuole dare un piccolo contributo a tutto ciò, creando informazione, comunicazione e luoghi di incontro.

E per questo ha voluto partecipare, come sua seconda uscita pubblica, all’inaugurazione dell’emporio sociale Portobello: una scelta coerente con il suo obiettivo di tenere sempre collegati, nel lavoro di rete, il dibattito sulle idee, il dialogo tra le persone e le concrete esperienze.

Portobello è un bell’esempio di comunità, che si misura su temi essenziali della vita delle persone: il nutrimento e la relazione.
Al centro, infatti, sono le persone e le famiglie che, pur in difficoltà, vengono considerate risorse: persone che ricevono e che danno.
Questa è l’essenza di una comunità vera, in cui non c’è chi è sempre in una posizione di forza e “fa la carità” e chi sempre è in una condizione di bisogno. A Portobello si acquistano, non con euro ma con i punti, il pane (cum-panis, compagni) e i libri, di cui parimenti nutrirsi. A Portobello si offrono ore di volontariato per fare quello di cui c’è bisogno in un market e per accogliere, dare consigli a persone, che a loro volta offriranno parte del proprio tempo e delle proprie competenze come volontariato.
La reciprocità è valore fondante una comunità, così come la solidarietà.

Amartya Sen, economista indiano premio Nobel per l’economia, ci insegna che la povertà è, oltre che mancanza di beni, soprattutto assenza di relazioni (solitudine) e di capacità di procurarsi beni e servizi.
Sappiamo che il nostro sistema di welfare tende, se non adeguatamente guidato e corretto, a dare risposte a bisogni di coloro che hanno capacità, escludendo di fatto proprio i più deboli. Ecco il valore del volontariato che da’ voce a chi non l’ha e rafforza capacità a chi ne è scarsamente dotato.

Nei comuni modenesi c’è un’enorme ricchezza di queste esperienze, che ci dice della capacità di resistere all’ondata di individualismo selvaggio degli ultimi 20 anni; esperienze che evidenziano però anche debolezze e isolamento.
È quindi sempre più necessario unire forze, competenze, intelligenze in progetti comuni; anche da questo punto di vista ritengo che Portobello sia una esperienza positiva, per il coinvolgimento di 25 associazioni di volontariato, delle istituzioni locali, fondazioni, imprese private e cooperative.
Modena ha queste straordinarie risorse: deve ritrovare la forza e l’orgoglio di porle al centro della comunità, quale propria essenza vitale e culturale.

Mariangela Bastico, AgendER