a cura di E. Colonna e L. Zou
Forse non è esagerato affermare che in questi giorni la scuola italiana sta attraversando uno dei momenti più difficili della sua vita. Anche chi non ha scioperato il 5 maggio (una minoranza in verità) e non è stato davanti a Montecitorio o nelle piazze di tutta Italia dove si continua ad esprimere un profondo dissenso, in queste ore è in ansia per le sorti della scuola pubblica e pone molte delle speranze ancora possibili nella discussione che a partire dalla prossima settimana si svolgerà in Senato. Una parte consistente della scuola è in piazza, e gli altri stanno col fiato sospeso. Infatti con lo sciopero del 5 maggio e la mobilitazione di questi giorni anche l’opinione pubblica più distratta si è accorta che non si tratta più di malcontento dei precari tagliati fuori dalla messa in ruolo, ma di un movimento di protesta ben più vasto che mette in discussione l’impianto dell’intervento del governo sulla scuola. Si tratta della natura della scuola pubblica, e tutti coloro che si occupano di scuola l’hanno capito, nonostante i maldestri tentativi del presidente del consiglio di mettersi alla lavagna. Qui non siamo chiamati in causa come insegnanti o dirigenti, studenti o genitori, ma come cittadini. Mettendo in discussione la natura del rapporto di lavoro degli insegnanti si scardina l’ossatura della scuola pubblica perché si mina alle basi la libertà di insegnamento e qualsiasi ipotesi di governance condivisa. Se questa legge passerà i dirigenti avranno il potere di scegliere i docenti, con criteri decisi scuola per scuola, utilizzarli anche per insegnamenti per i quali non sono abilitati, non confermare il loro incarico dopo tre anni. Tutto ciò è sufficiente non a mettere in discussione ma a far saltare la scuola intesa come comunità educante. Che il governo e il parlamento si fermino. Lo stanno dicendo in tanti in queste ore: si può fare una riforma della scuola contro la scuola?
INDICE
- Ruolo dei dirigenti e precarizzazione del rapporto di lavoro
- Il problema del merito
- Risorse e finanziamenti
- La formazione degli insegnanti
- Le deleghe
- Per approfondire
- Iniziative Cidi
Ruolo dei dirigenti e precarizzazione del rapporto di lavoro
Quali sono i punti più controversi della Buona scuola? In primo luogo il ruolo dei dirigenti, che avranno il potere di scegliere i docenti dagli albi territoriali. Con quali criteri? Secondo i criteri definiti scuola per scuola, in base alle necessità e alle priorità individuate nel POF. Ma questo riguarda solo i nuovi assunti? No, riguarda anche tutti i docenti di ruolo che chiedono il trasferimento e i soprannumerari. Il trasferimento non si chiede più su una o più sedi, ma da un ambito territoriale all’altro (per il momento il livello è provinciale). A quel punto si aspetta di essere chiamati da qualche dirigente. La titolarità su una cattedra viene abolita, e anche le graduatorie, si entra nell’albo con il proprio curriculum. Il contratto è di durata triennale, rinnovabile, cioè il dirigente ha il potere di non rinnovarlo, volendo. Questo non significa il licenziamento, ma che si torna nell’albo e si aspetta di essere chiamati da un’altra scuola. Ovviamente un docente che per le ragioni più diverse non vede rinnovato il proprio contratto non sarà fra i più richiesti… Quindi, si era partiti dicendo di voler risolvere il problema dei precari e alla fine, con queste norme, si è precarizzato il lavoro di tutti. Il potere del dirigente è talmente grande che la Camera ha approvato un emendamento del Movimento 5Stelle per vietare l’assunzione di parenti… Per brevità, lasciamo ai nostri lettori tutte le considerazioni legate alla libertà di insegnamento e alla libertà della scuola tutta che derivano da queste norme. Qui ci limitiamo a porre una domanda: era questa l’autonomia delle scuole? Secondo noi assolutamente no, l’autonomia era dentro i paletti indicati molto chiaramente dalla Costituzione e potenziava il ruolo della scuola nel rapporto col territorio, non quello del suo dirigente.
Il problema del merito
Valorizzazione del merito del personale docente, è questo il titolo dell’art. 13 del testo approvato dalla Camera. Anche in questo caso, è totalmente assente una visione di scuola basata sulla collaborazione di tutti i soggetti e viene esaltato il ruolo del singolo docente che individualmente deve essere premiato. In questo modo, non solo il clima della scuola viene appesantito da rivalità e contrapposizioni ma, soprattutto, si rinuncia in modo evidente a sostenere una scuola che valorizzi il lavoro fatto insieme, la collaborazione e gli sforzi di tutti per raggiungere un obiettivo comune.
Assolutamente scandalosa è poi la composizione di questo nuovo Comitato di valutazione che, con il nuovo articolato di legge, è modificato rispetto alla composizione in vigore. Il Comitato di valutazione non è eletto, ma nominato dal consiglio di istituto. Ne fanno parte, oltre al dirigente, due docenti e due genitori (se si tratta del primo ciclo) oppure un genitore e uno studente (secondo ciclo).
Attualmente, com’è giusto, il comitato viene eletto dal collegio dei docenti ed è composto solo da docenti, individuati per professionalità e competenza. Con le modifiche approvate, la valutazione dei docenti passa in mano anche a soggetti (genitori, studenti) che hanno altre competenze, certamente non quelle di poter esprimere una valutazione sulla base dei criteri indicati: a) la qualità dell’insegnamento e il miglioramento apportato alla scuola; b) i risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti, valutabili sulla base delle competenze acquisite dagli studenti, dell’innovazione didattica e metodologica; c) le responsabilità prese nel coordinamento didattico-organizzativo e nella formazione del personale.
E questo processo di “valutazione” dei docenti – non una vera valutazione, ma una parodia di quella che dovrebbe essere una giusta valutazione affidata a soggetti competenti – porterà alla fine ad assegnare qualche retribuzione aggiuntiva ai docenti “meritevoli”. Non è questo che vuole la scuola, non è questo quello di cui ha bisogno la scuola.
Risorse e finanziamenti
Qualche considerazione sulle risorse e i finanziamenti. Renzi dice di avere il merito di mettere tante risorse sulla scuola. Ma, a parte il fatto che questa non è una buona ragione per chiedere in cambio di snaturare la scuola pubblica, è necessario fare qualche precisazione. Primo: “assumiamo tanta gente e protestate pure!” In realtà c’è un grosso equivoco, perché qui non si tratta di nuove assunzioni, ma di persone che lavorano nella scuola da anni, e che hanno diritto ad essere assunti, cioè a lavorare in condizioni civili (o quasi). Non si tratta di nuove risorse, ma di riparare a un torto. Senza riferirsi alla famosa sentenza della Corte europea, già ai tempi del ministro Fioroni, nel 2008, era stato predisposto un piano pluriennale di assorbimento dei precari… Seconda considerazione: alla scuola pubblica in Italia sono stati sottratti ben 8 miliardi in tre anni a partire dal 2008. Il governo e il Parlamento avevano il dovere di affrontare la questione della scuola, e le risorse attualmente individuate sono solo una pccola parte di quello che alla scuola è stato tolto.
La questione dei finanziamenti ha due aspetti, che purtroppo sono strettamente intrecciati: quelli alla scuola pubblica e quelli alle scuole private. Infatti non è assolutamente accettabile che, mentre aumentano più che in ogni altro momento i finanziamenti alle scuole paritarie, le scuole pubbliche non solo sono costrette a chiedere ai genitori di intervenire a sostegno dei bilanci dei singoli istituti con contributi cosiddetti “volontari”, ma avendo dovuto anticipare, chi più chi meno, persino i pagamenti per le supplenze, hanno crediti che il Miur non pagherà. Per completare il quadro, si consente a chi manda i propri figli alle scuole paritarie di scaricare nella denuncia dei redditi una percentuale del pagamento delle rette.
Infine, il governo sembra dire alle scuole: non ci sono soldi? Trovateveli. È una scelta davvero irresponsabile, non solo perché tende consapevolmente ad aumentare le differenze fra zone ricche e zone povere del Paese mentre si dovrebbe fare esattamente il contrario, ma anche perché abbandona le scuole più “ricche” nelle mani di imprese e capitali privati che, quando ci fossero, potrebbero non essere del tutto disinteressati a intervenire su contenuti educativi e formativi. Il dubbio che ci sia una scelta precisa in questo senso è legittimo.
La formazione degli insegnanti
L’art. 12 del disegno di legge prevede l’istituzione di una carta per l’aggiornamento ed enuncia l’obbligatorietà della formazione in servizio. Bene, ma non basta per migliorare la qualità della didattica e complessivamente della scuola.
Noi crediamo che la priorità oggi sia la costruzione di un sistema nazionale di formazione in servizio capace di attivare quel “processo attraverso il quale si sviluppano e si organizzano la ricerca e l’innovazione educativa”, garanzia di costante miglioramento della dinamica tra insegnamento e apprendimento. E’ solo questo processo che connota le scuole come centri di ricerca e di sperimentazione. La formazione in servizio dunque non è un corollario della professione docente, ma deve legarsi alla ricerca didattica e diventarne parte costitutiva, al pari del progettare gli interventi educativi, fare lezione, valutare gli esiti, confrontarsi collettivamente.
Lo sviluppo di una formazione in servizio adeguata è possibile soltanto con strutture permanenti nelle scuole. Solo una scuola così organizzata potrà effettivamente realizzare un curricolo per competenze e sviluppare, in piena autonomia e con i necessari supporti esterni, attività di ricerca e sperimentazione, dando vita a un processo costantemente documentato e valutato, capace di connotarsi come un percorso di ricerca azione permanente.
Le deleghe
In questa legge non si parla di scuola dell’infanzia, grande assente, e neanche si prendono in considerazione, per le assunzioni, i precari di quella fascia scolastica. Perché? Perché è oggetto di delega, come molti altri temi importanti quali il reclutamento e la formazione degli insegnanti o il diritto alla studio. Questo significa che su questi temi i testi saranno scritti dalle stesse mani che hanno scritto il disegno di legge, senza che nessuno possa fare nulla, neanche il Parlamento. Nessuno, tranne forse l’opposizione quasi unanime di tutto il mondo della scuola.
Per approfondire
Il testo approvato dalla Camera e che ora passa al Senato (fonte UIL Scuola, in evidenza le modifiche apportate, in rosso le parti aggiunte e con i collegamenti ipertestuali alla normativa vigente).
Se cresce la scuola cresce il Paese è il titolo del documento presentato dal Cidi in occasione dell’audizione alla Camera dei deputati per questo disegno di legge; La scuola che cambia il Paese è il motto di 32 associazioni di docenti, dirigenti, studenti, genitori, sindacati che, tutti insieme, hanno voluto aprire con il Parlamento un terreno di confronto sul disegno di legge per operare una continua pressione e portare le ragioni della protesta;
Insegnareonline ha sviluppato in tutti questi mesi un dibattito ricco, approfondito e vivace su tutte le questioni legate alla Buona scuola; e infine, in edicola, rubrica del sito del cidi, si può trovare una rassegna stampa molto ricca. Tra gli ultimi articoli, l’intervista al maestro Franco Lorenzoni, “Contro la malariforma, che avvelena la scuola“.






