Con le dimissioni di Vasco Errani e con l’indizione di nuove elezioni per l’Assemblea e la Presidenza della Regione Emilia-Romagna si apre una fase nuova del regionalismo in Italia.
Vari “governatori” (la denominazione impropria dà comunque l’idea del ruolo che si intendeva dare alle Regioni, assimilandole agli Stati in uno Stato federale) eletti nel 2010 non sono più in carica.
Le Regioni non hanno mai acquisito le competenze che il Titolo V assegnava loro; dopo una fase di conflittualità forte, con numerosi ricorsi da parte dello Stato e da parte delle Regioni alla Corte Costituzionale, si è preferito, da parte di entrambi, non dare piena attuazione alle norme del Titolo V, proprio quando, mi riferisco in particolare alla scuola, i numerosi pronunciamenti della Corte avevano ampiamente chiarito l’assetto delle competenze.
Per quello che riguarda la scuola, ad esempio, le Regioni non hanno legiferato (se non per funzioni molto parziali) per acquisire le competenze concorrenti ed esclusive che la Costituzione assegnava loro, sicuramente in un intreccio complesso, ma, a mio avviso, utile ed opportuno. Un’occasione mancata, dunque.
Ora, a fronte dei conflitti istituzionali e della mancata attuazione del Titolo V, il Governo ne propone la modifica, riportando una serie di competenze in via esclusiva allo Stato e scegliendo la via di un rinnovato centralismo. Ne è un piccolo esempio il finanziamento diretto alle singole scuole da parte del Governo per le manutenzioni, attraverso migliaia di piccoli interventi, bypassando Regioni e Comuni. La soppressione delle Provincie, con l’attribuzione di funzioni direttamente ai Comuni, la costituzione delle aree metropolitane possono accentuare i rischi del centralismo, attraverso rapporti diretti tra Stato e Comuni singoli o associati.
Saranno quindi molto importanti le relazioni che si instaureranno tra Stato e Regioni, anche alla luce del nuovo Senato, espressione diretta delle Regioni e dei Comuni.
Queste relazioni e il nuovo assetto istituzionale interno alle Regioni, a seguito della costituzione delle Province come enti di secondo grado, saranno scelte decisive per il prossimo Governo e per la prossima Assemblea regionale. Auspico che la Regione disegni un quadro che valorizzi le comunità locali, grande ricchezza dei nostri territori, non percorrendo una scelta centralistica al proprio interno. Inefficaci e a volte dannosi sono, a mio avviso, i centralismi sia nazionale sia regionale.
E’ necessario che questi elementi, uniti alle strategie per uno sviluppo economico ed occupazionale e per una nuova coesione sociale, siano posti al centro della discussione e delle scelte sulle candidature a Presidente e a componenti dell’Assemblea regionale.